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Notiziario Centrale Novembre 1946 Speciale



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VITA SEZIONALE


   IL BIVACCO CARLO POL AL GRAN PARADISO


Il nostro ricordo
Un anno fa, ai primi approcci di ripresa dopo la bufera, nell'aspettazione fiduciosa di un ritrovamento di valori che in clima più sereno avrebbe presto trionfato dei postumi della tragica crisi, anche la « Giovane Montagna » da una sede all'altra dei suoi aggruppamenti aveva gettata la voce e riordinato le sue file. Parve che un alito nuovo, leggero, trascinante rientrasse in tutti lanciandoci verso orizzonti purificati ove sarebbe stato facile dimenticare tanta amarezza e tanta miseria...
Ma la cruda realtà sta tuttora diritta a far ben duro e ben lento questo ritrovamento, a contrastare ostinatamente i colpi d'ala, a incatenare gli spiriti sui dolorosi problemi.
E l'amarezza e la miseria ancora ci vorrebbero avvilire, ma noi vogliamo superarli.
Ecco perché, fin da quei primi giorni, si sentì necessario mantenerci uniti allo spirito dei migliori che la tragica ora ci aveva strappati: camminare ancora con essi nei giorni nuovi era presupposto sicuro di buona marcia non meno che argomento concreto di conforto. Nei lunghi anni, nella pienezza del combattimento aperto come nella abbietta imboscata, nell'improvvisa sciagura come nel martirio della lunga quotidiana agonia, molti amici si erano perduti, ed il loro vuoto si sentiva ora più grande ed incolmabile. Tra questi, fulmineamente, inopinatamente, Carlo Pol.
I « fedeli » della sezione di Torino lo richiamarono subito sui loro nuovi cammini. Non poteva, non doveva, Lui così puro ed eloquente interprete degli ideali della « Giovane Montagna », scomparire dalla famiglia, come tragicamente beffato proprio nell'ora della realizzazione di un sogno lungamente e nobilmente perseguito; nell'insulto di uno tra i tanti crudeli e non eroici episodi della guerra. I « fedeli » nella fiduciosa attesa del ritrovamento di valori, nell'anelito di ritornare a sentire sul monte gli insegnamenti dell'Eterno, nell'ansia di assicurare alle fortune future della « Giovane Montagna » la perenne sorgiva spirituale della purezza e della Fede, si sono concertati per dare all'Alpe un ricordo di questo generoso cavaliere che dell'Alpe aveva così bene scoperto, approfondito e vissuto il senso e la scienza.
Questo fascicolo, che nella sua modestia di mole e di veste ben testimonia del faticoso superamento della crisi, vuol collocare nella sua luce il dono che gli Amici della « Giovane Montagna », col generoso contributo di altri intimi di Carlo Pol, fanno alla montagna ed agli alpinisti col bivacco che nel suo nome sta per aprirsi nel gruppo del Gran Paradiso. In queste pagine, penne egregie di spiriti egregi che in Carlo Pol seppero apprezzare ed amare la parte migliore di lui, dicono del suo cuore e del suo ardire proprio perché Egli sia chiamato a camminare insieme ancora a tanti che nella « Giovane Montagna » oggi trovano il bene che Lui seminò.
Possa la « Giovane Montagna » sempre meglio essere degna di Lui.
Torino, luglio 1946.
NATALE REVIGLIO

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   NELLA PERENNE SERENITÀ DI DIO!...


« Fra tanto grigio una nota di sereno. Mi sposo il 16 settembre. Sei contento? Ricordami e prega per me. Carlo ».
Il messaggio che aveva compilato per me il 1° settembre 1944 tramite Città del Vaticano fu trovato inevaso sul Suo tavolo quando Egli già non era più; mi fu trasmesso dalla pietà degli amici comuni dopo la liberazione, quando la esultanza per l'infranta barriera, che aveva tagliato in due, per mesi, il territorio nazionale, era velata dal dolore per le notizie di tante vite falciate dalla morte nel duro periodo della schiavitù.
Povero Carlo! Egli sapeva quanto l'amico lontano si sarebbe rallegrato per la buona novella da tanti anni attesa, e nel desiderio vivamente sollecitata, anche se le attuali circostanze non avrebbero permesso all'amico sacerdote di recarsi personalmente a porre il sigillo della benedizione del Signore al patto d'amore.
« Fra tanto grigio una nota di sereno ». Era veramente stata un po' grigia per Lui la giovinezza senza il sorriso dell'amore, senza il conforto di una creatura che si dedicasse a Lui nella mutua comunione di aspirazioni e di idealità, senza poter gioire del chiasso festoso di bambini suoi; Egli che, rimasto fanciullo di spirito, i bambini teneramente adorava. Mamma e sorella vivevano per Lui ed Egli le ricambiava di sollecitudine; Lo circondavano di cordialità e di stima tanti e tanti amici; l'attività professionale, esercitata con intelligenza e con senso di responsabilità, teneva occupata la Sua giornata; la pas-sione per la montagna Gli offriva le ore più belle e riposanti nei periodi di vacanza; le visite ai poveri della Conferenza di San Vincenzo, che, regolarmente faceva con intelletto d'amore, ridonavano agilità e calore allo spirito affaticato per il lungo lavoro di ufficio, ... ma Egli si sentiva tuttavia insoddisfatto, soffriva la Sua solitudine spirituale, ed, anche se circondato da provati e sinceri amici, avvertiva spesso il vuoto nella vita di ogni giorno. Ed il grigio era reso più denso per le tristi condizioni della Patria: figlio autentico del Suo Piemonte, anima gelosa della libertà, anche per tradizione di famiglia e per educazione cristiana, assisteva con cuore angosciato all'agonia lenta e progressiva della libertà civile, che condusse poi, nella tirannia, all'umiliazione ed al martirio della Nazione. La giovane vita di Carlo Pol fu un intimo dramma di cui solo pochi ebbero conoscenza, perché, pur nella Sua adamantina sincerità con tutti, per un senso squisito d'innato pudore spirituale, sapeva custodire gelosamente i sentimenti e le situazioni più delicate della Sua anima.
Lo conobbi la prima volta quando, con Pier Giorgio Frassati, Francesco Manara, Tonino Severi ed altri carissimi giovani, era studente al Politecnico di Torino. Non a caso cito questi nomi. Essi sono un simbolo: furono l'incarnazione di un'Idea e di un programma, divenuti poi realtà immanente nella vita Universitaria Italiana, ed ora operante anche nella Nazione: la F.U.C.I., l'Associazione che seppe ideare, creare e plasmare l'indimenticabile Apostolo e Maestro che i giovani osavano chiamare « mamma Pini ». Penetrazione del pensiero e della vita cristiana nella Università pervasa allora dal positivismo materialista ed anticlericale, preparazione spirituale all'attività scientifica, pro-fessionale e civile, elevando l'anima dei giovani alla visione unitaria ed alla pratica integrale del Cristianesimo, in spirito di perfetta letizia, in purezza, sincerità e carità. Religiosità resa viva e consapevole dallo studio, come ricerca e adorazione della Verità, che si trasforma, per la Fede, in strumento di bene per sé e per gli altri nel sacrificio quotidiano contro ogni farisaismo impuro e contro ogni egoistico adattamento a consuetudini e a tradizioni vuote d'ispirazione e cristallizzate. In questo ambiente Carlo Pol poté orientarsi alla conquista di un equilibrio interiore tanto più difficile e necessario nel periodo decisivo di chi si prepara a vivere la propria vita. Molto più che Egli aveva sortito un'anima complessa nella sua ricchezza e profondità. Radicato nelle convinzioni religiose, ma, mente critica, educata agli studi positivi, sentiva il bisogno di approfondire, controllare la Sua Fede, di fare sempre più luce in sé. Sano moralmente, e capace di elevarsi alle più nobili concezioni della vita, sentiva vivo il contrasto tra queste e la realtà del Suo mondo individuale, con la esuberanza dei suoi impulsi e le sue inclinazioni, e del mondo esterno con tutte le attrattive, contrasto che alle volte Lo rendeva scontento di sé, acuendo il desiderio imperioso di superarsi ed ascendere. Apparentemente rude, taciturno e quasi chiuso in sé, era invece ricco di sentimento e di affetto, capace di tenace e solida amicizia, fatta di finezze, di comprensione, di generosità fino alla consacrazione più devota e al sacrificio; ed anche temperamento squisitamente estetico che si commoveva e vibrava davanti alle più nobili espressioni dell'arte, della poesia, della letteratura, della musica ed alle divine manifestazioni della natura. Tale costituzione spirituale, la coscienza della sua incompletezza, l'assillo di colmare le Sue lacune e di raggiungere la pienezza di vita, Lo resero tra i più fedeli ed affezionati dei discepoli di Mons. Pini, e del sacerdote che Mons. Pini, negli ultimi anni, aveva associato alle Sue fatiche ed alla sua passione: affetto devoto che non richiedeva in contraccambio altro che consigli, incitamenti, e, all'occorrenza, ammonimenti: quante volte a voce e per lettera si lamentava di lui per troppa indulgenza e condiscendenza, perché Egli voleva diventare più buono, più forte, più padrone di se stesso, ed esigeva di essere aiutato a superare le sue debolezze, a colmare le sue lacune. Nelle relazioni con gli antichi compagni universitari, con i quali ebbe comune la formazione spirituale, restò fedele, continuando la Sua solidarietà ad ogni iniziativa culturale e caritativa, e partecipando alle loro imprese alpinistiche. L'ostinato amore per la montagna, alle volte audace fino alla temerità, il biso-gno che aveva di comunicare con la natura, specialmente nella solitudine aspra e serena delle ardue vette e dei ghiacciai duramente conquistati, rivelano tutto il tormento della sua giovinezza portata alle conquiste, assetata di idealità pure, desiderosa di spaziose e serene visioni. Così si spiega come la gita domenicale in montagna fosse diventata per Lui quasi una necessità di vita spirituale: non si ritraeva dalle fatiche più rudi, pur di conquistare l'ambito premio di una vetta assolata, di una scalata vertiginosa, di una veloce discesa in ski per i colli e le valli delle nostre Alpi. E quante rinunce, ciò non ostante, pur di non venir meno alla S. Messa domenicale! Per tutti noi che a Lui fummo spesso compagni per le vie dei monti ancora è bruciante l'eco della Sua voce ed il ricordo del Suo aiuto negli istanti più delicati delle difficili imprese.
Come dimenticare quel camminare con pochi amici all'attacco di roccie impervie, quel Suo passo troppo agile e troppo veloce per i molti che non avevano i Suoi polmoni ed il Suo cuore, quel tono dapprima scontroso e poi dimesso e contrito che prendevan il Suo volto e la Sua voce se qualcuno di noi bonariamente lo redarguiva invitandolo a passare in coda, quello scalare lento e sicuro per ore ed ore di creste e pareti, nelle buone ed avverse condizioni, ed infine l'espressione di esultanza che erompeva dal Suo viso a vetta raggiunta e la preghiera sommessamente recitata, per Suo volere, in sì luminosa grandiosità di natura ed in tanta intimità di cuore, a coronamento e ringraziamento per una riuscita scalata! Erano quelle le rare occasioni nelle quali si leggeva negli occhi di Carlo Pol la gioia di una più che terrena felicità, il grigiore del suo intimo era rotto dall'incantesimo della natura, immagine palpitante dell'infinita grandezza di Dio.
A raggiungere il contrastato equilibrio interiore, a vincere la Sua solitudine, sognava l'anima gemella con cui ricostruire, in fusione di vita, il suo avvenire. Pochi come Lui sentivano la santità dell'amore, il desiderio della famiglia e possedevano le qualità indispensabili per garantirne la solidità. E poiché il nostro non è il mondo della perfezione, l'ideale del sogno era ben lungi dal tradursi in realtà. Di qui il sempre più denso grigio della Sua vita, un senso sempre più vivo di amarezza e di pessimismo, attenuati soltanto dalle fugaci, e per Lui veramente liete, ore alpine e dalla pratica costante della vita caritativa nella conferenza di San Vincenzo.
E la carità del Suo animo non fu soltanto di buone parole e di un pezzo di pane: era fatta della prestazione continua della Sua persona, della Sua volontà. del Suo cuore, era il frutto di quell'amore a Dio nei poveri che ogni buon cristiano sempre deve nutrire davanti al fratello che soffre.
Specialmente così, e di ciò ne era profondamente convinto, Carlo Pol intendeva vivere la religione, solo così inserendosi nella realtà della vita erano, secondo Lui, bruciate le tappe per un più umano e religioso domani.
Una carità quotidianamente vissuta, un operare continuo ed in silenzio e spoglio di ogni ostentazione, un rivivere nel proprio intimo le altrui sofferenze cercandone per sé e per gli altri il rimedio, il nutrire con il Corpo Eucaristico di Cristo la propria volontà ed il proprio cuore per farne dono a quanti dell'una e dell'altro ne hanno perso gli attributi migliori: ecco il capolavoro caritativo di Carlo Pol.
Ben giustamente disse di Lui la madre Sua: a Parlava poco di sé e nulla del bene che faceva ». Ma le lacrime asciugate, le famiglie ricomposte sotto l'egida di Dio, il lavoro procurato a quanti nel vizio e nell'ozio trascorrono sovente la vita, il conforto della fede portato a chi da tempo si trascina nell'errore di un'esistenza disperata, tutto ritorna oggi a testimonianza di una vita e di un operato ammirevoli e di conforto a chi nel cuore è rimasto bruciante il ricordo del Suo esempio e del Suo affetto.
Povero Carlo! chi lo avrebbe detto che quando la nota di sereno fra il grigio sorgeva a sorriderti all'orizzonte, e ne davi il lieto annuncio all'amico lontano, proprio alla vigilia della vita nuova, tu improvvisamente, forse senza avvertirlo, avresti alla vita chiuso gli occhi, ridivenuti sereni e gioiosi...... Sì, ma per riaprirli ad una Vita ancora più serena, ad una Vita che non conosce né veli né tramonti, perennemente viva di un amore che non è più pallido riflesso come ogni incompleto amore di quaggiù, ma che è la sorgente stessa inesauribile di ogni amore: Dio! Quel Dio la cui opera invisibile, silenziosa, tormentosa anche, sollecitava il Tuo spirito alla ricerca irrequieta della Pienezza della Vita.
Il sereno si è fatto per te, Carlo, nell'azzurro cielo di una mattinata autunnale; di fronte alla cerchia scintillante delle nevi e dei monti che già furono tuoi sei ritornato al Padre, con nel cuore finalmente quella. « nota di sereno » che era venuta a dissipare il grigiore della Tua giovinezza, preludio certo della serenità dei Cieli a cui il Signore ha voluto misteriosamente chiamarti, per godere nella pienezza il Tuo ideale di bontà e di vita.
Perugia, 15 giugno 1946.
Mons. LUIGI PIASTRELLI

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   LA ROCCIA VIVA PER LA PARETE NORD


Il ricordo degli anni felici che mi videro compagno di corda a Carlo. Pol è una delle cose più preziose che io possiedo. Principale campo delle nostre imprese fu in quel periodo il gruppo del Gran Paradiso, al quale Carlo era particolarmente affezionato: la bella e solitaria Valnontey raccoglieva tutti gli elementi della natura alpina che a Lui più piacevano!
Assieme a Carlo ho qui conosciuto giornate radiose. La sensibilità del Suo animo per le cose belle era comunicativa, e chi era con Lui non poteva non gioire dell'ininterrotto succedersi dei meravigliosi quadri che la montagna dona. Con Lui, ideale del compagno di montagna, ci si poteva accingere con fiduciosa sicurezza alle imprese più difficili e devo certamente a questa fiducia in Carlo la riuscita delle nostre più belle imprese. È tra queste, senza dubbio, la scalata alla Roccia Viva per la parete Nord: 23 agosto 1940.
Alle 4,45 abbiamo lasciato il Bivacco Martinotti dopo due giorni di prigionia a causa del maltempo. È ancora notte, alla debole luce di una piccola falce di luna, ci arrampichiamo sul facile crestone che divide il Ghiacciaio di Money dal Ghiacciaio di Gran Crou. Aiutati poi dalla prima luce del giorno, in poco più di un'ora di cammino, perveniamo al ghiacciaio di Money. La via da noi seguita in questo tratto, per quanto non figuri sulla recente guida del Gran Paradiso è, a mio avviso, certamente la più breve e la più comoda dal Bivacco Martinotti al piede della Roccia Viva ed ai pianori superiori del ghiacciaio di Money.
Qui calziamo i ramponi, ci leghiamo e prendiamo a salire il ghiacciaio che presenta meravigliosi seracchi e crepacci. La neve tiene bene, anche qualche tratto ripido viene superato sollecitamente. Una barriera di seracchi più complessa ci costringe a ritornare sulla cresta rocciosa, in questo tratto riemergente dal ghiaccio, offrendoci un passaggio scomodo a causa dei ramponi e della oltremodo gelida temperatura della roccia.
Intanto il sole va tingendo di rosa tutte le vette intorno. La giornata, benché freddissima, si annuncia buona, anche la piccola nube sul Gran Paradiso è scomparsa. Siamo ormai agli ultimi pendii sotto la crepaccia terminale che ci sovrasta, verso la quale saliamo con l'occhio rivolto all'imponente parete ghiacciata che ci aspetta.
La nostra attenzione è richiamata dalle ampie macchie scure della parete che costituiscono le parti in ghiaccio vivo e dovremo evitarle il più possibile. Alle 7,30 raggiungiamo la crepaccia, l'orlo superiore di questa forma un muro di parecchi metri e nasconde il pendio superiore. Al riparo di questo, compiamo i preparativi di circostanza e dopo pochi minuti, vinti dal desiderio di conoscere le difficoltà che ci attendono, siamo già impegnati: una cornice obliqua mi permette di raggiungere con relativa facilità l'orlo superiore del muro. Non appena il mio sguardo oltrepassa questo limite una visione sconcertante si presenta: uno sdrucciolo di durissimo ghiaccio che sfugge verso l'alto senza soluzione di continuità. Iniziamo qui il duro lavoro di piccozza. Tanto è lento e laborioso il progredire che ci si sente in questi momenti annientati dall'impresa che ci proponiamo di compiere. Sappiamo benissimo che una volta impegnati non vi è più un solo punto di sosta e che, a differenza di altre ascensioni, gli aiuti che il primo di cordata può dare al secondo, e viceversa, sono talmente effimeri che la corda diventa unicamente il simbolo di una sorte comune. Qui è la fiducia nel compagno che ci viene in soccorso e ci permette di affrontare con tranquillità anche quei momenti scabrosi che una tale impresa può riservare.
Dopo una prima laboriosissima lunghezza di corda ci troviamo su di una lingua di neve formante esile straterello largo solo qualche metro che sembra
permettere la salita di una buona parte dello sdrucciolo; il nostro morale è ora
alquanto più sollevato. Guadagnamo così 8 o 9 lunghezze di corda, poi lo strato si fa sempre più sottile e si perde definitivamente nel ghiacciaio. Qualche
metro in salita trasversale verso destra richiede ancora una duro lavoro di piccozza. Raggiungiamo dopo questo un altro cordone di neve dura. Si riprende ora l'ascesa a ritmo normale.
Lo sdrucciolo sotto di noi è veramente impressionante. L'uniformità dell'inclinazione ed il punto di osservazione del nostro occhio, sempre a pochi palmi dal pendio, non ci permettono di valutare il nostro progresso. Rimettendoci perciò al computo delle lunghezze di corda guadagnate ci risulterebbe di essere a metà parete; convalida la nostra supposizione l'aver raggiunto la strozzatura formata dalla gran gobba di ghiaccio sospeso che caratterizza la Roccia Viva da questo lato. Questo è forse il tratto più ripido dell'ascesa. Costeggiamo un cordone di roccia affiorante che non giudichiamo opportuno avvicinare data la qualità del ghiaccio che lo difende. Sopra questo ci troviamo di fronte ad altro ghiaccio verde. Per una interminabile lunghezza di corda salgo diagonalmente a sinistra scavando ampi gradini. Benché questi tratti in ghiaccio richiedano molto tempo abbiamo sin qui fatto molto presto e, grazie anche alla giornata molto fredda, sparisce il timore di vederci rammollire quel sottile strato di neve che ci permette di avanzare velocemente.
Dopo il ghiaccio ritroviamo la neve ma con uno strato di pochi centimetri. Ancora qualche lunghezza di corda su questo effimero strato e poi la pendenza accenna a diminuire ed anche i ramponi mordono terreno più saldo. L'inclinazione diminuisce ancora, ci accorgiamo di aver superato in altezza i vicini Gemelli. Infine possiamo salire senza gradini, su ottima neve ramponabile, il pendio che va addolcendosi sino a formare il bordo N. dello strano laghetto che sta in cima alla nostra montagna.
Percorriamo velocemente gli ultimi metri pianeggianti, lieti di ritrovare la libertà e l'indipendenza dei nostri movimenti. Siamo felici, ci abbracciamo.
Tira aria freddissima e ci fermiamo solo pochi istanti nei quali eleviamo una preghiera di ringraziamento a Dio ricordando Genovese e De Croce caduti pochi giorni prima al Picco Eccles e dei quali la sorte ci aveva riservato il doloroso mandato di ritrovare i loro corpi.
Sulle rocce soleggiate del versante Sud ci fermiamo un'oretta a riprendere lena. Poi iniziamo la discesa. Scartato a priori il crestone O.NO che, pur essendo la via più facile per scendere sul versante di Valnontey è oggi sconsigliabile per via della roccia gelida, decidiamo di ritornare al Martinotti attraverso la Bocchetta di Monte Nero ed il Colle di Money. Scendiamo perciò la cresta di neve sino al piede del Gemello Ovest poi imbocchiamo il canale del versante E.SE. Prima per roccie detritiche, poi nuotando nella neve fresca, giungiamo in brevissimo tempo sul ghiacciaio della Roccia Viva.
Scendiamo poi solo in parte il canale della Bocchetta di Monte Nero perché appena ci è possibile tagliamo a mezza costa il pendio di orribili morene per non perdere quota. Ad una cascatella d'acqua ci ristoriamo e ci fermiamo circa un'ora, indi iniziamo la salita al Colle di Money giungendovi alle 15. Qui ci leghiamo nuovamente ed iniziamo la discesa. È l'ora questa in cui la luce calda del pomeriggio trae dalla catena Herbetet-Paradiso, osservata da questa parte, un suggestivo spettacolo di luci ed ombre veramente unico.
Rivediamo inoltre, prima di scorcio e poi di fronte, la parete da noi salita stamane. Evitando o superando i pochi crepacci giungiamo alla sommità della cresta rocciosa e per questa scendiamo al bivacco. Sono le 16,30. Trasportiamo fuori i pagliericci e ci stendiamo al sole ad assaporare queste ore di piena felicità e di gioia, così rare nella vita. Ore brevi, purtroppo, perché il sole tende a scomparire dietro la Becca di Montandaynè e noi dobbiamo ritirarci nel bivacco, colla speranza sì, ma nello stesso tempo col presentimento, che una simile giornata non potrà più ripetersi, perché troppo bella.
G. DELMASTRO

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   PRINCIPALI ASCENSIONI COMPIUTE DA CARLO POL


Ascensioni estive
M. Viso Gr. S. Pietro
Herbetet Colle Montandayné - Gr. Paradiso (p. cresta)
Pizzo Bernina Innominato
Dent S. des Buquetins Aiguille Croux
Gr Jorasaes Becco Monciair (Punta N.)
Dent d'Herin Ciarforon
Grivola (cresta N.) Roccia Viva (Punta N.)
Becco di Gay

Ascensioni invernali in ski
Breithorn Marmolada
Castore Gran Paradiso
Testa del Ruitor M. Rosa
Blindenhom Traversate: Punta Genova - Argentera - Gelus
Hohsandhom M. Stella
Adamello

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   IL BIVACCO "CARLO POL" AL GRAN PARADISO


L'alpinista che dalla valle di Cogne tenta la scalata di qualcuna delle più belle e dominanti vette dell'anfiteatro alpino del Gran Paradiso, che va dalla Testa della Valnontey, alla Becca di Montandayné ed all'Herbetet, ha fino ad oggi soltanto due vie di accesso con possibilità di pernottamento a quote alpinisticamente interessanti: il bivacco Martinotti ed i casolari dell'Herbetet.
Il primo sorge a quota 2.588, all'estremità inferiore del creatone Nord-Ovest della Roccia Viva ed è raggiungibile da Cogne in 4 ore; offre indiscusse possibilità di ascensioni di primo piano sulle circostanti vette, dalla Testa del Gran Crou, alla Becca di Gay, alla Roccia Viva, alla Testa di Money e giù fino al Colle Money ed agli Apostoli, per non dire che delle creste più rinomate. I casolari dell'Herbetet, a quota 2.435, allo sbocco della valle omonima nella sottostante Valnontey, costituiscono un comodo punto di partenza per le scalate nel gruppo dell'Herbetet, delle Budden, della Montandaynè e per altre escursioni di minor importanza nella pittoresca zona.
Né l'una né l'altra delle due suddette località sono però una comoda base per le ascensione nel gruppo centrale del Gran Paradiso. Invero dal bivacco Martinotti attraverso l'ampio pianoro inferiore del ghiacciaio del Gran Crou, con lungo giro, si raggiunge la « Barma dei Bouquetins » e risalendo poi tutto lo sperone roccioso sovrastante, che divide in due cascate di seracchi la testata del ghiacciaio della Tribolazione, si perviene al primo pianoro superiore del ghiacciaio della Tribolazione. Sono circa tre ore e mezza, tempo che sensibilmente grava sulle gambe degli alpinisti e nell'economia della giornata per chi si accinge a qualche non facile scalata! Le case di caccia dell'Herbetet, di cui una solamente è abitabile, sono impegnate dai guardiacaccia del Parco e sovente occupate, per di più fuori tiro per chi s'appresta ad arrampicate nella cerchia alpina del versante di Cogne che va dal Colle di Montandaynè al Colle dell'Ape.
Era famosa, nei bei tempi passati, la preistorica « Barma dei Bouquetins », specie di caverna naturale che certamente servì di ricovero ai primi scalatori del Gran Paradiso dal nostro versante ed a quanti successivamente si proponevano di tentare qualche lunga scalata nella zona. Per quanto il nome della spelonca indichi chiaramente trattarsi di rifugio per camosci e stambecchi, tuttavia più che a ricovero della pregiata fauna servì, e serve tuttora, di riferimento e di sosta ai guardiacaccia nel loro quotidiano pellegrinaggio per le impervie zone del Parco Nazionale.
Con nel cuore il ricordo bruciante di Carlo e nella mente le considerazioni sopra esposte, non fu difficile ad una piccola schiera di amici, in una intima serata del passato inverno, trovare subito la località più adatta dove erigere il nuovo bivacco, ormai nato, non soltanto più nel desiderio ma già nella materiale realizzazione, per volere di quanti a Carlo Pol furono legati da vincoli d'amicizia e d'affetto attraverso il comune amore del monte. E su quali monti, in quale regione delle nostre Alpi meglio si sarebbe potuto ricordare Carlo Pol se non nel gruppo che, più di ogni altro, fu suo, tra le vette ed i ghiacciai che conobbero le sue audacie migliori e le sue più belle vittorie?
L'amichevole interessamento ed il competente consiglio serbatoci, fin dai primi stadi dell'iniziativa, da parte del Commissario al Parco Nazionale del Gran Paradiso, le parole di incitamento e di consenso che generose persone, a Carlo Pol come noi legate da sincero affetto, non mancarono di spendere a favore di un'iniziativa che da loro stesse era in un primo tempo partita, anche se poi, per ovvie ragioni tecniche, fu diversamente realizzata, il positivo bilancio delle nostre ed altrui possibilità economiche per la materiale realizzazione dell'opera, tutto contribuì ad accelerare i tempi e permettere, come è viva speranza, l'inaugurazione ancora nel corrente anno.
La solitaria e melanconica Valnontey, coperta da estese pinete olezzanti di mugolio e di timo, percorsa da fresche e schiumeggianti acque, resa sonora dal canto continuo nei mesi estivi di cicale ed uccelli, s'inserisce, da Cogne, profondamente nel cuore del gruppo del Gran. Paradiso ed il suo ondeggiante e verde fondo valle costituisce la più breve e la più pittoresca via d'accesso al nostro bivacco.
Presto scende l'ombra sulla Valnontey nel meriggio alpino perché troppo curiose sono le cento vette del gruppo che allungano il collo e alzano il capo per guardare cosa succede a Valmiana od a Cogne così che nei mesi estivi alle 17 pomeridiane già il sole è sparito dietro le scintillanti creste della Testa di Valnontey e della Punta di Ceresole. Solamente enormi sciabolate di luci rimangono per lunghe ore a dardeggiare sul viso delle vette più alte e ad infuocare il cielo in tramonti di porpora e d'oro.
In tre ore circa, di lento camminare da Cogne, si raggiunge, sempre nel fondo valle, il ponte dell'Erfoulet ed, attraverso il torrente, brevemente si perviene a quota 2.040 cioè al bivio della strada per il Martinotti ed i casolari dell'Herbetet. Pochi metri sopra questo punto, lasciando alla sinistra la via per il Martinotti e sulla destra la bella mulattiera reale per le case dell'Herbetet e puntando decisamente verso la « Barma dei Bouquetins », ora chiaramente visibile, attraverso zolle erbose e morene ci si perviene in poco più di mezz'ora.
Si risale poi tutto lo sperone roccioso che, se non fosse interrotto da una cascata di seracchi del ramo orientale del ghiacciaio della Tribolazione, si potrebbe considerare la continuazione della vertiginosa e compatta parete orientale della Testa di Valnontey. A quota 3.095 lo sperone muore nel ghiacciaio e lindo, maestoso, invitante, appare, al di là di una striscia nevosa, il bivacco « Carlo Pol ».
Nelle annate di tardive nevicate primaverili la dorsale rocciosa, abbondantemente coperta di neve, termina assai prima nel ghiacciaio della Tribolazione; conviene allora, fin dall'attacco alla base, tenersi a destra, al limite del ghiacciaio stesso per tagliare poi a sinistra e riportarsi in cresta verso la sommità.
Qui si è veramente nel cuore del Gran Paradiso! « Tacciono gli uomini e le cose ». La solitudine è rotta soltanto dal tuonar sperduto dei seracchi che cadono, dal sibilo sottile, alle volte maestoso alle volte straziante, dei venti concertanti mille melodie di suoni ignoti; è l'orgia più sfrenata della natura alpina: maestose visioni nei tormentati e sconvolti ghiacciai, nelle pareti e nelle creste che sfuggono vertiginosamente verso un cielo di smeraldo, fino alle vette più alte e più lontane, superbe visioni quasi irreali, se, come sovente accade, sono trasfigurate da candidi giochi di luci e dalle gelide folate di vento e di nebbia che danzan loro gioiosamente attorno.
È era, su tutto è sovrano il gran silenzio del Monte. La confortante accoglienza del bivacco ci attende!
Si tratta di un ambiente di ben 8 metri cubi abitabili, cosa eccezionale per costruzioni del genere. Circa 800 kg. di materiale da trasportare fin lassù; povere spalle di quanti generosamente, e forse ignari, si offersero per darci un valido aiuto nella posa in opera! Costruito in legno massiccio, perlinato in larice a tavole di forte spessore, rivestito completamente in lamiera, non differisce di molto, se non in una sensibile ed evidente robustezza, dai tipi di bivacco a tutt'oggi posati sulle nostre Alpi. Quattro comode cuccette su telo, e quattro posti a terra permettono il ricovero di ben otto persone. Non è arredato di coperte e di materassini: l'uomo del piano è ancora troppo sensibile a simili moine e non può resistere a lungo senza farne suo esclusivo possesso. Il giorno in cui i rifugi ed i bivacchi saranno visitati soltanto più dagli alpinisti, dai veri alpinisti, potremo certamente, e con sicurezza, provvedere ad un migliore arredamento. Forse quel giorno è ancora lontano!
L'acqua è fornita dallo scioglimento naturale od artificiale delle nevi cir-costanti. Un cartellino di istruzioni ricorda agli immemori od ai distratti i doveri da compiere prima di abbandonare il locale.
Dalla parete di fondo, in un riuscito ritratto, Carlo Pol a tutti sorride: cara compagnia per i vecchi amici che con Lui discorreranno a lungo alla sera di cento ricordi, gioie e dolori, vittorie e sconfitte, di tempi più lieti assieme trascorsi nell'altezza delle vette e del sole dei vent'anni; maestro di audacia, di prudenza, di puro e cristiano sentire ai giovani che verranno dopo di noi a camminare per le stesse solitarie, aspre e luminose vie dell'Alpe.
Il bivacco resta di proprietà della « Giovane Montagna - Sezione di Torino » che si assume l'onere, meno lieve di quanto possa sembrare, della regolare manutenzione e conservazione.
Al bivacco « Carlo Pol » si potrà peraltro pure accedere dalle seguenti vie:
dal Gran Paradiso, scendendo per il passo Vaccarone e per il colle dell'Ape, in circa due ore dalla punta;
dal rifugio Vittorio Emanuele, per il colle del Gran Paradiso, ghiacciaio di Noaschetta, colle di Chamonin, in circa cinque ore dal rifugio;
dall'alpe della Bruna (Noasca) per il ghiacciaio di Gay ed il colle di Valnontey, in circa quattro ore e mezza.
A titolo indicativo, si elencano le principali ascensioni comunemente fattibili dal nuovo bivacco indicando i tempi medi per la via normale di salita:
Testa di Valnontey, mt. 3562, ore 1 e mezza - Testa della Tribolazione, mt. 3642, ore 2 - Punta di Ceresole, mt. 3777, ore 2 e mezza - Cresta Gastaldi, mt. 3894, ore 3 e mezza - Gran Paradiso, mt. 4061, dal colle dell'Ape e passo Vaccarone, ore 4.
Il bivacco « Carlo Pol » costituirà poi una base di prim'ordine per tutte le più importanti scalate del versante orientale della costiera che dal Gran Paradiso e Piccolo Paradiso termina al colle di Montandaynè e punta omonima: palestra meravigliosa per acrobatiche imprese.
All'epoca della compilazione del presente opuscolo il bivacco risulta completamente ultimato come costruzione. Già impostato il trasporto fino a Cogne e da Cogne fino al ponte di Erfoulet. Per il trasporto a spalle alla località prescelta per il montaggio la Sezione di Torino della « Giovane Montagna » si è fatta promotrice di una gita sociale allo scopo di reclutare una quarantina di soci volenterosi che provvederanno al trasporto dei singoli elementi smontati. Sarà così veramente positivo il contributo della Giovane Montagna e più bello il gesto dei Soci a ricordo di Carlo Pol.
Nella speranza che imprevisti contrattempi non costringano a modificare il programma, nella prima settimana di settembre si procederà alla benedizione ed all'inaugurazione del bivacco.
Sarà così materializzato il ricordo sui monti del nostro indimenticabile compagno scomparso, mentre più caldamente rimarrà nel cuore di quanti l'hanno conosciuto il ricordo perenne della sua cordialità e della sua fraterna amicizia.

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